LINO TOSI
GT
L’ Appunto - aprile 2009
Tutti i colori del grande Lino
Il noto artista varallese Tosi raccontato da chi lo amava
Entrando nel cortile attiguo all’antica chiesa di San Pietro Martire a Varallo è impossibile non provare stupore ed ammirazione.
Colonne di pietra, capitelli, statue, fonti battesimali, marmi di ogni genere creano un’atmosfera unica, come del resto unico fu colui che in quel piccolo eremo visse per anni con la moglie Adriana, colui che regalò alla Valsesia la sua arte, colui che all’unanimità è considerato il più grande pittore e scultore varallese del ‘900: Lino Tosi.
Tosi nacque a Varallo nel 1921, figlio di Giovanni e Anna Baldi, apparteneva ad una generazione che aveva vissuto il dramma della seconda guerra mondiale.
Dopo alcuni trascorsi ad aiutare il padre, gestore di un’osteria, appena quindicenne entrò nella scuola di Incoraggiamento al Disegno di Varallo.
Nel 1933 la direzione della scuola fu affidata a Paolo Manaresi. L’incontro con il grande scultore diede una svolta importante alla sua vita.
Dopo cinque anni trascorsi presso la scuola varallese, fu incitato dallo stesso Manaresi a sostenere degli esami per entrare all’Accademia di Bologna ma lo scoppio della guerra lo costrinse ad interrompere gli studi, fu chiamato alle armi e solo dopo alcuni anni e con molte difficoltà fece rientro al paese natio. Nonostante i gravi problemi economici e di salute decise di entrare a far parte del Comitato di Liberazione della Valsesia.
Rientrato poi all’Accademia di Bologna gli fu offerto dall’amico e maestro Manaresi, che ereditò la cattedra di incisione del grande pittore Giorgio Morandi, il posto di assistente che Tosi rifiutò per il grande attaccamento alla sua terra di origine.
Scelta che riflette il senso di profonda solitudine ed inquietudine che lo accompagnerà la vita.
Una volta rientrato a Varallo fece ritorno alla scuola dalla quale partì per diventarne maestro di disegno e modellato.
Morì nel giugno 2005 per un arresto cardiaco causato dal dolore per la scomparsa dell’amato fratello Aldo.
Eccezionalmente, a fare da guida all’interno della casa e della vita del grande artista, sono il cognato Mario ed il nipote Gianni Testa che in quel piccolo eden vive con la compagna.
Gianni, entrando in questa casa, si ha la sensazione di essere in un piccolo mercato dell’antiquariato, da dove arrivano tutti questi oggetti? “Lino era un grande appassionato di tutto ciò che è arte, amava collezionare pietre, marmi e sculture di ogni tipo, i contatti con diversi scultori e artisti dell’epoca gli permisero di acquistare la maggior parte degli oggetti che vede qui. Acquistò questo piccolo cortile che poi diventò la sua casa negli anni ’60 e lo ristrutturò completamente, inoltre fece emergere dagli intonaci antichi dipinti all’interno della chiesa adiacente”.
Qual era il suo carattere? “Era una persona molto schiva e riservata. Non amava le manifestazioni celebrative ed era molto legato alla sua terra, proprio per questo rifiutò il posto di assistente all’Accademia di Bologna che gli fu offerto dall’amico e maestro Manaresi che spesso gli faceva visita e con il quale teneva una corrispondenza”.
Oltre a Manaresi aveva altri amici nel mondo dell’arte? “Nel corso della sua vita gli incontri con importanti artisti furono molti, ma in particolare fu ispirato dal grande pittore Giorgio Morandi”.
Qual era il suo stile e quali erano i suoi soggetti preferiti? “I suoi quadri sono dipinti a spatolate ampie. Aveva una pittura nervosa e contorta che rifletteva il suo carattere inquieto. Spesso dipingeva utilizzando le assi delle cassette di legno. Purtroppo nel 1987 fu colpito da un ictus che paralizzò la parte destra del suo corpo, ma non si arrese e cominciò a dipingere con i pennelli e con la mano sinistra. Le opere realizzate in questa seconda parte della sua vita hanno tinte molto più chiare rispetto alle precedenti. Trovava ispirazione nell’essenzialità delle cose e nella quotidianità dei gesti. Era molto legato alla Valsesia, i suoi soggetti sia in pittura che in scultura, erano figure tormentate e sofferenti. Basti pensare alla scultura in bronzo del 1988 posizionata in una nicchia della casa comunale di Varallo in via Tonetti; raffigura una donna valsesiana che stringe al collo il figlio mentre allo stesso tempo porta con sé gli strumenti del lavoro. Ha mani e piedi molto grossi rispetto alla comune prospettiva proprio per sottolineare la sofferenza del lavoro e del ruolo della donna come figura portante e principale della famiglia”.
A quando risale la sua prima mostra? “La prima in assoluto ebbe luogo a Bellagio sul lago di Como a Villa <<Serberlloni>> ma la mostra più importante, tra l’altro l’unica da lui organizzata, è del 1957 alla Galleria Cairola di Milano che gli permise di raggiungere la notorietà ed una notevole quotazione. Cose che comunque a lui non interessavano, così si ritirò presto nel suo eremo”.
Quali opere ha lasciato alla sua amata Valesia? “Molte, è difficile quantificarle. Tanti quadri sono stati venduti a privati, è comunque possibile ammirarne alcune come ad esempio, ad Alagna il bassorilievo nel muro esterno della chiesa parrocchiale che raffigura la vicenda resistenziale dell’eccidio dove caddero insieme partigiani e carabinieri, l’altorilievo rappresentante scene sportive nel cortile d’onore di palazzo D’Adda e la cappelletta ai piedi della strada che conduce al Sacro Monte”.
Un’ultima domanda, cosa avrebbe detto il Maestro riguardo a questa intervista? “Lino non amava nessun tipo di esposizione pubblica, era un solitario sempre sfuggente alle luci della ribalta, sicuramente (dice sorridendo) sarebbe stato contrario”.
Federica Casolari
"Lino era solito sfuggire
dalle luci della ribalta"