LINO TOSI
GT
Galleria d’Arte Cairola – Milano – Via della Spiga 30
Lino Tosi 30 gennaio – 10 febbraio 1957 di Giuseppe Gorgerino
Un pittore vero
Avevo sentito parlare da un amico di Lino Tosi come di un giovane pittore di vero e promettente valore, ed ero curioso di vederne le opere e di conoscerlo.
Conoscere lui non mi fu possibile: vive a Varallo Sesia e cala in città poche volte e vede poca gente.
Seppi che aveva cominciato a fare lo scultore, a Bologna alla scuola di Ercole Drei e poi si era dato alla pittura. Non faceva brigata con nessuno e a pochissimi riusciva vederne i quadri. Ma, alla fine, li vidi anch’io: e da quei pochi che vidi potei convincermi che si trattava di un’artista vero.
Chi ha il vezzo di andare per le mostre e ci ha fatto un po’ l’occhio, s’ha quanto gli spalmatori di tele e i consumatori di tubetti siano più numerosi degli eserciti di Serse e delle ciliegie a giugno, in quest’epoca di indulgenza veramente plenaria che basta – diciamo la verità – buttare del colore, così come vien viene, su una tela, che tutto sopporta, per avere dei critici che trovano poi chi ci sta sotto nù penziere, e magari dalle monografie che annunziano con grandi coccodè il nuovo miracolo.
C’è del dilettantismo – dilettantismo avanguardista – sino al soffitto e gli autori di tanti improvvisati portenti sono riveriti, lisciati e “comprati” che è una bellezza.
Non mi ci voleva altro per mettere all’attivo di codesto giovane 35enne – e dunque non più uno di questi galletti di primo canto che ti frastornano il capo e ti rompono il sonno con la loro vocetta agra ed astratta ad ogni levar di aurora – non ci volle altro, dico, per mettere al suo attivo questo suo vivere schivo e solitario e questa sua pertinacia, veramente montanara, di tirare un passo dopo l’altro, semplicemente per la sua strada.
Era un pittore, insomma che non aveva mai detto, che non diceva mai a nessuno che il di prima aveva proprio inventato l’ombrello e la mattina, infilandosi i calzoni aveva trovato una nuova soluzione della fenomenologia nello spirito, spaziando o astraendo, o “realizzando”, o bagolando con i fondiglioli dei caffè parigini… A Varallo, lui, semmai, aveva Gaudenzio Ferrari che era quel che era.
Ma non vorrei far credere che sia figlio di nessuno e così solitario e autonomo da non vivere, come l’eremita del deserto, che di un pane al giorno portatogli sul becco da un corvo, o di sola rugiada mattutina.
Dico a proposito della sua arte, che, quanto al mangiare materiale, con quella sua bella e lussuosa ritrosia, non deve essere stato davvero una goduria. L’arte di Lino Tosi è in primo luogo, dono che gli viene da domineddio, che c’è quando c’è e, come il coraggio di don Abbondio chi non ce l’ha non se la può dare; e poi, come anche nei vecchi tempi usava, è fatta di studio paziente e di lunga disciplina.
Sicchè il Tosi si trova anche lui nei versante dell’espressionismo, è un pittore “scuro”, dalla pennellata larga e grassa, e continua e avvolgente: si pensa, che so, certo, a Van Gogh a Rouauelt, al nostro Sironi a certe pitture, di una volta, di Carlo Levi e, tra i suoi coetanei anche a Valenti.
Dico questo per dare, molto alla grossa, dei punti di riferimento, che, altrimenti, codesti nomi non valgono nulla o se ne potrebbero fare dieci altri e tutti giusti.
Intanto, ripeto, è un pittore vero, ricco di vena, ricco di temi, e di molteplice “scrittura” – un tema e un soggetto te lo dipinge cinque o sei volte, sempre diverso – e dichiara e perentoria immediatezza, senza sbavature e astuzie letterarie. Una volta si diceva che un artista che “ha un suo mondo”.
Ho fatto il nome di Rouauelt: il quale, per certi versi, dà nella vetrata da cattedrale. Tosi, no, ma il maestro francese, al di fuori di questo, in certe cose somiglia.
E il suo mondo è fatto a codesta atmosfera con un che di sfiaccolato, con un paesaggio indolito, piegato da un vento pesante e scuro dove gli uomini salgono impervi sentieri di montagne primordiali, curvi per il peso invisibile della fatica del vivere, sotto un cielo nero o spento.
Anche i fiori – perlopiù bellissimi – stanno per disfarsi al soffio di un incombente bufera che viene da lontani averni e vibrano come lumi prossimi a spegnersi per sempre, o come fiaccole nella tempesta.
Un girasole sembra un fantasma su una landa abbandonata; e il paesaggio è quello che è rimasto dopo un incendio universale, in un’atmosfera di calamità remota: come nel vero espressionismo – in cui non mancano gli impeti del baracco – si tratta di trovare “nell’oscurità dell’essere la radice dei sentimenti non contaminati dalla civiltà”: in questo senso e in questo modo Lino Tosi è artista autentico e artista moderno
Giuseppe Gorgerino