LINO TOSI
GT
Corriere Valsesiano, venerdì 24 giugno 2005 di Norberto Julini
In una galleria di ritratti di persone che hanno dato volto e cuore alla città di Varallo nel corso del Novecento il pittore Lino Tosi il suo posto ce l’avrebbe eccome. Certo, lui si sarebbe negato a tanta pubblicità e si sarebbe schermito come al solito dietro alla timidezza, che lo rendeva schivo a mostrare i suoi sentimenti
Il suo ultimo atto è un silenzioso atto d’amore e di riconoscenza: muore per il cordoglio della morte del fratello Aldo piangendo in silenzio.
Tanto riservato da abitare in un eremo, alla periferia di Varallo, protetto da un muricciolo, al di là del quale è vissuto a artista varallese ricco di talento.
Figlio di un secolo che gli riservò la sfortuna di avere vent’anni negli anni della guerra fascista, alla quale non si prestò mai, scelse in quegli anni il rifiuto e la ribellione.
Non era un giovane sprovveduto: l’arte era andato ad apprenderla in una sede d’avanguardia come l’Accademia delle Bella Arti di Bologna, perché là lo aveva voluto portare il suo scopritore lo scultore Manaresi, che a Bologna era stato chiamato ad insegnare presso quell’Accademia dove il grande pittore Giorgio Morandi era ancora attivo.
Lino Tosi essendosi rivelato come il migliore degli allievi nell’arte del modellare (suo l’altorilievo ancora visibile nel cortile d’onore di Palazzo d’Adda raffigurante scene sportive) era stato portato a Bologna perché diventasse scultore. Ma l’incontro con Morandi deve averlo folgorato ed averlo convinto che la pittura poteva svelare la bellezza delle cose nella loro essenzialità.
Anche in questo vi era dentro la rivolta contro la pittura celebrativa del regime, già pensata per piegare l’Italia agli ideali di una guerra da riprendere e che di lì a poco sarebbe ripresa. Lino invece la sua bellezza sapeva dove cercarla: nell’essenzialità delle cose spoglie di ogni decoro, in quella capacità di andare oltre la forma fisica, comunemente percepita come reale, per giungere ad una verità delle cose, che sta oltre l’apparenza. Niente di disincarnato ed astratto: Lino si porta sempre dentro la storia sua e della sua terra valsesiana basta andare a vedere l'imponente figura femminile incastonata in una nicchia della casa comunale di via Tonetti: lì c’è una donna vestita del costume locale che si regge su piedi giganteschi, che portano un bimbo che le sta attaccato alla faccia con un affetto quasi disperato, mentre lei è carica anche degli strumenti di lavoro nei prati: icona del ruolo della donna in Valsesia, reggitora di famiglia e lavoro dove l’emigrazione è condizione ordinaria degli uomini.
Basta andare a vedere come Lino ha reso la tragica vicenda resistenziale dell’eccidio di Alagna nel bassorilievo murato nel muro esterno dell’abside della chiesa parrocchiale che vide partigiani e carabinieri cadere insieme. Come il modellare anche il dipingere di Lino, come per il suo maestro Morandi, non è tecnica di evasione, è un modo di reagire alla menzogna del tempo e riaffermare che la bellezza che ci salverà sta nelle piccole, semplici cose, domestiche o naturali che stanno attorno: solo però che quella bellezza la si sappia vedere con gli occhi sicuramente sinceri di chi non ha nulla da contrabbandare in cambio di facile successo.
A Milano una volta sola trova modo di esporre ad una mostra, il critico del Corriere della Sera, Marziano Bernardi lo vede e lo recensisce con giudizi di valore, ma la fama di Lino rimane ristretta a d una cerchia di affezionati intenditori.
Lino doveva molto alla scuola Barolo, come la stessa Valsesia molto deve a quell’autentica fucina di artisti oltreché di nobili artigiani che ci hanno onorato in Europa. Dalla scuola parti e a d essa ritorno col titolo accademico. Ne fu maestro di disegno e modellato fino a quando iniziò la sua fase creativa della “mano sinistra”: chiamiamola così All’inizio degli anni Novanta un ictus gli impedì i movimenti della parte destra e della sua mano creativa, Lino non si arrese, si riabilitò ci provò con la mano sinistra, alcune nature morte a pastello hanno conservato un disegno dal tratto sicuro, senza esitazione. Quelle figure umane riprodotte nel quadro offerto ai lettori, uomini che si fanno legno, legni che sono uomini dicono il suo disagio dentro ad un corpo irrigidito, c’è il dolore senza rassegnazione. Il fratello Aldo gli è compagno quotidiano per tante sollecite cure, anche Adriana la sua silenziosa compagna di tanti anni ha bisogno di lui
Visitare il suo eremo ogni volta era il farsi condurre di qua e di là nelle varie stanze e nel chiostro a vedere cose belle che vi aveva raccolto, sovente altro non erano che cose naturali, pietre o bastoni, la cui forma evocava al suo occhio la bellezza spoglia ed essenziale che aveva sempre cercato di tirar fuori dalla realtà. L’auspicio è che quel deposito di arte e di memorie di un autentico artista valsesiano no si disperda e che Varallo, che ha di recente aperto la casa del pittore Scaglia, possa contare domani su una “casa Tosi”, all’eremo di San Pietro, testimonianza suggestiva di un’altra stagione della pittura novecentesca in ambito valsesiano.
Norberto Julini